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Novembre 2018

Le elezioni in Brasile

Teresa Isenburg

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Da tempo studio il Brasile e lo visito con frequenza specialmente nell’ultimo lustro. Così ho seguito da vicino, e con grande dolore, le vicende eversive iniziate il 4 marzo 2016 e confluite nelle elezioni anomale del 28 ottobre 2018 che hanno portato alla massima carica della Federazione un soggetto non conosciuto, senza un partito degno di questo nome, senza un programma a parte la diffusione dell’odio e di notizie false. Provo a condividere con gli amici della SISLav il mio vissuto di questo lungo percorso di distruzione di un esperimento legale di trasformazione sociale abbattuto da una élite schiavistica attraverso procedure illegittime. Cercherò in particolare di rispondere alla domanda: le elezioni generali dell’ottobre 2018 sono state democratiche, non solo nelle procedure formali, ma nella sostanza, cioè nella possibilità paritaria di tutti i soggetti, candidati ed elettori debitamente informati e consapevoli, di esprimersi secondo scienza e coscienza?

Alcune cose vanno tenute presenti come panno di fondo. I governi di centro sinistra dal 2003 al 2016 erano di coalizione (quindi con molte mediazioni) con due partiti principali, il PT/Partito dei lavoratori e il PMDB/Partito del movimento democratico brasiliano. In quell’arco di tempo per la prima volta dopo l’abolizione (1888) della schiavitù si poneva al centro dell’azione di governo l’inclusione sociale della massa della popolazione lasciata storicamente ai margini della società: alimentazione, sanità, educazione, abitazione erano gli strumenti resi operativi attraverso politiche positive molto articolate. Il tutto alla scala di milioni di persone, non di progetto pilota. Il cammino  di trasformazione sociale senza strappo istituzionale dava risulti visibili e misurabili, insieme ad una politica estera regionale e mondiale distensiva e con una discreta sostenibilità economica, seppure indebolita dalla crisi del 2008.

Ma questo pericoloso esempio poteva produrre contagio: contro di esso convergevano gli interessi avversi sia della terribile élite arretrata schiavista interna che di settori di paese terzi. Una regolare  procedura rappresentativa  parlamentare non era in grado  di bloccare un processo che minacciava di durare. La strada alternativa scelta è stata quella del non rispetto della legge fondante, cioè della Costituzione del 1988, e del golpe. Illegalità promossa,  praticata o tollerata all’ombra del potere giudiziario, responsabile della costruzione sistematica di uno stato di eccezione: gli storici del futuro capiranno quali motivazioni hanno spinto un corpo dello Stato all’infedeltà istituzionale. Più facile comprendere le opzioni degli altri attori dell’eversione: la élite dell’arretratezza per cupidigia economica e odio ideologico antisociale contro poveri e non bianchi, la stampa monopolistica per interessi economici enormi e subalternità, settori della polizia federale per formazione culturale e desiderio di potere.

L’antefatto della strategia messa in campo riguarda un processo per corruzione avviato nel marzo 2014, Operação Lava Jato, concernente la principale impresa economica del paese, la Petrobras. Ai  magistrati del gruppo di lavoro di questo normale processo venne riconosciuta una condizione di eccezione sull’onda della campagna mondiale ed equivoca della cosiddetta lotta alla corruzione. Ad esempio il non rispetto del giudice naturale. A partire dal marzo 2016 inizia l’eversione manifesta: 4 marzo 2016 il fallito sequestro di Lula; poi la messa in stato di accusa con imputazioni non previste dalla Costituzione della presidente Dilma Rousseff  sospesa a maggio (con l’insediamento dell’usurpatore Michel Temer) e deposta, con l’avvallo del Supremo tribunale federale, il 31 agosto 2016. A settembre prende avvio l’accelerato processo contro Lula nell’ambito della Lava Jato, con condanna rapidissima in primo e secondo grado: il tutto in assenza di prove e con procedure originali. In parallelo il governo illegittimo emana con rapidità decreti anticostituzionali destinati a smantellare lo stato sociale, a privatizzare le imprese pubbliche e a vendere le risorse, a cominciare dal petrolio, in assenza di licitazioni.

Tutto questo tramestare raggiunge uno dei principali obiettivi il 7 aprile 2018 con l’arresto e la carcerazione (non importa se in disprezzo del presupposto di innocenza fino all’espletamento di tutti i gradi di giudizio) di Lula. Nonostante ciò, Luiz Inácio Lula da Silva viene candidato alla presidenza dal suo partito, il PT.

E così si entra nel vivo dell’ultima fase di questo oscuro cammino, le elezioni generali del 7 e del 28 ottobre 2018. Sebbene  le Nazioni Unite abbiano dichiarato legittimo il diritto di Lula a candidarsi e obbligo dell’esecutivo brasiliano il rispettare tale suo diritto umano, i tribunali federali hanno cassato la sua candidatura. Così finalmente ha avuto inizio una campagna elettorale molto schiacciata nel tempo, oltre che manipolata in modo indecente nelle candidature. Tre erano i candidati dei sondaggi: il favorito Geraldo Alkmin del centro, Fernando Haddad di sinistra e Jair Bolsonaro di estrema destra. Le urne hanno dato un risultato  differente, con una polarizzazione carica di tensioni fra estrema destra, Bolsonaro al primo posto, e sinistra riformatrice con Haddad. Non poche sorprese vi sono state anche fra parlamentari e governatori.

Diverse anomalie sono emerse nella breve campagna elettorale. Il 7 settembre, nel corso di un comizio, il candidato della estrema destra viene ferito a coltellate. Da quel momento i suoi sondaggi cominciano a salire. E contemporaneamente egli scompare dalla scena pubblica: prima in ospedale e poi a casa, non andrà più in piazza, non prenderà parte a nessun confronto televisivo, si sottrae ad ogni contatto. In parallelo inizia un bombardamento mirato di Whatsapp (pare che 500.000 robot fossero attivi durante il periodo elettorale) con messaggi manipolati, fake news, sui candidati della sinistra. Solo a fine settembre Facebook ha avuto la cortesia di informare che a inizio settembre 30 (trenta) milioni di profili erano stati rubati dai suoi depositi. Coincidenze? In ogni caso la giustizia elettorale non ha ritenuto di intervenire con la debita fermezza per sospendere le piattaforme coinvolte nonostante ricorsi su ricorsi.

Durante questo lungo periodo eversivo da un lato vi è stato il golpismo anticostituzionale coperto dagli alti gradi del potere giudiziario, dall’altro una continuativa, diffusa, coraggiosa mobilitazione, in parte organizzata e centralizzata, in parte spontanea. Come mai il voto di estese masse pauperizzate ha appoggiato così massicciamente un candidato che dichiara di volerle schiacciare? Certamente la campagna di istigazione all’odio contro il PT che è andata avanti per tre anni nei mass media monopolistici ha influenzato nel profondo. L’aggressione di Whatsapp ha avuto un effetto devastante. Inoltre in questo lungo processo politico hanno agito due attori che, in teoria, non hanno statuto per fare politica attiva: il potere giudiziario di cui abbiamo parlato e le grandi chiese neopentecostaliste, conservatrici, che si muovono al di fuori di ogni regolamentazione istituzionale. Nella grande massa di voti di uomini e donne di colore per la estrema destra ho sentito affiorare un paradigma potente di patriarcalismo.

Certo, da questo percorso che ha stravolto e stravolge un paese con influenza ben al di là dei propri confini non si può non trarre una profonda preoccupazione sulla fragilità dei sistemi democratici a rappresentanza elettorale parlamentare: essi si fondano su un patto, suppongono che le parti in gioco e i responsabili della tutela della separazione dei poteri rispettino le regole. Se una o più parti rompono il patto, chi ad esso rimane fedele difficilmente non viene scalzato. È quanto avvenuto in Brasile e che mi sembra renda molto poco credibile il carattere democratico delle elezioni appena concluse.

Vorrei terminare con un’impressione personale: la sera del 28 ottobre ho seguito i risultati insieme ad amici, per lo più giovani coppie con bambini piccoli. Vedere le espressioni, gli occhi lucidi, il silenzio ferito di chi vede un tenda nera calare davanti a sé e alla propria vita non è cosa che dimenticherò. Così come non dimenticherò i visi seri, lo sguardo preoccupato e chino delle persone per strada del lunedì mattina. Neppure nella sera della “loro” vittoria ci sono state espressioni di soddisfazioni, pochi brevi cortei di auto hanno suonato un po’ il clacson, nulla dei multicolori cortei e musiche che hanno accompagnato la campagna di Haddad e Manuela. Un senso di notte senza stelle che cala. So che non è così, che il bisogno di vita e condivisione crea e ricrea forme di lotta, sa trovare strade sempre nuove e feconde per riconquistare la vita degna, la cultura, la speranza. Ma il laboratorio che forze oscure hanno voluto sperimentare in Brasile va preso molto sul serio, studiato, capito, arginato in modo unitario. È un grave pericolo.