Seminario di ricerca "Entrare al lavoro. Formazione e reclutamento nella storia italiana", Firenze, 3 giugno 2013


Documento di presentazione e discussione (a cura di Stefano Gallo e Gilda Zazzara) [pdf]

PROGRAMMA

- Stefano Gallo e Gilda Zazzara: Introduzione al seminario

11.30 I. Mutamenti e continuità
- Luca Mocarelli: Entrare al lavoro nelle città dell'Europa preindustriale.
Corporazioni e lavoro libero tra teoria e prassi
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- Anna Pellegrino: Entrare in fabbrica / andare a bottega. Modelli, percorsi e
agenzie dell’accesso al lavoro a Firenze fra artigianato e industria (1861-1922)
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Discussione coordinata da Franco Franceschi

14.30 II. Mobilità territoriali
- Eleonora Canepari: I mestieri della mobilità. Migrazioni e accesso al lavoro nella
Roma moderna
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- Paolo Barcella: Gli italiani in Svizzera tra lavoro e formazione professionale [pdf]
Discussione coordinata da Stefano Musso

- Pietro Causarano: Conclusioni

 

Resoconto sintetico
Il seminario è stato aperto dai curatori, Gilda Zazzara e Stefano Gallo, i quali hanno
illustrato i motivi che hanno spinto il Direttivo della SISLav a proporre una giornata
di discussione attorno alle traiettorie sociali e ai canali riconosciuti di ingresso al
lavoro, con un taglio cronologico di lungo periodo. Il problema della formazione
professionale e del reclutamento è presente nella storia dell'uomo in maniera
costante, per ogni tipo di lavoro: sia nei passaggi da una condizione di non-lavoro/
inoccupazione a una di lavoro, che in quelli da un impiego a un altro, è sempre
stato necessario che si verificassero dei fatti per consentire a un aspirante
lavoratore di venire in contatto con una possibilità di impiego, e quindi di accedervi.
Eppure i canali attraverso i quali si è verificato l'incontro tra lavoratori e datori di
lavoro, così come le modalità con cui si è compiuta la formazione preparatoria,
sono rimasti ambiti della conoscenza storica poco battuti, quando non inesplorati.
Possiamo parlare, a proposito di questo tema, di una prospettiva 'eccentrica', in un
doppio senso: collocata fuori dal centro del lavoro in quanto lo anticipa senza darlo
per assunto e rimasta, soprattutto in Italia, fuori dal centro dell'interesse degli
studiosi del lavoro. Il richiamo alla metafora della condizione operaia come una
casa e non come una essenza, proposta da Maurizio Gribaudi in Mondo operaio
mito operaio, può essere utile per ricordare quanto sia importante cogliere le
dinamiche di ingresso e uscita dalle condizioni sociali al fine di comprenderne le
caratteristiche più profonde; è opportuno quindi non sottovalutare la centralità dei
fenomeni 'eccentrici'. Lo sguardo lungo, poi, può permettere di non sopravvalutare
né stigmatizzare il ruolo delle agenzie pubbliche, in particolare dello Stato, a
partire della seconda metà dell'XIX secolo, ma di inserire queste agenzie in una
storia secolare di pratiche diffuse e consolidate, di azioni e reazioni a livello sociale
e locale. I 'legami deboli' (weak ties) devono rappresentare una 'trama forte' in cui
inserire l'azione dei poteri pubblici.
La prima sessione, dal titolo "Mutamenti e continuità", ha posto al centro
dell'interesse il problema della formalità o meno dei processi di reclutamento e
preparazione in relazione al ruolo delle corporazioni, dalla prima età moderna fino
al passaggio di secolo tra '800 e '900. L'intervento di Luca Mocarelli (Università di
Milano-Bicocca) dal titolo Entrare al lavoro nelle città dell'Europa preindustriale.
Corporazioni e lavoro libero tra teoria e prassi, ha richiamato criticamente i
principali risultati del più recente dibattito storiografico sul tema dell’apprendistato,
argomento estremamente discusso che ha portato nell’ultimo quindicennio a
riconsiderare la vicenda delle corporazioni nell’Europa dell’età moderna. Le
evidenze sui casi concreti hanno dimostrato una fluidità dei rapporti di
apprendistato ben maggiore di quanto comunemente riconosciuto: la maggior
parte degli apprendisti lasciavano il lavoro ben prima dei termini stabiliti, mentre
erano molte le corporazioni che non prevedevano nei propri statuti forme di
apprendistato, lasciando la regolamentazione dei processi formativi alla
contrattualità privata. Proponendo sovrapposizioni continue tra economie regolate,
strutture corporative e lavoro libero, l'intervento di Mocarelli ha reso più articolato
un quadro che è stato generalmente ricostruito facendo riferimento pressoché
esclusivo ai mestieri organizzati in corporazioni, che erano ben lungi tuttavia
dall’esaurire il mondo del lavoro nelle città preindustriali.
L'intervento di Anna Pellegrino (Università di Padova) dal titolo Entrare in fabbrica /
andare a bottega. Modelli, percorsi e agenzie dell’accesso al lavoro a Firenze fra
artigianato e industria (1861-1922), si è concentrato su un caso specifico, quello
della Firenze a cavallo tra '800 e '900. È stato affrontato il problema dell’accesso al
lavoro in una fase storica in cui il tradizionale artigianato urbano si trovava a
confrontarsi con un processo di industrializzazione così intenso da modificare i
canali tradizionali di accesso al lavoro: questo in una città in cui le due forme di
lavoro (industriale e artigiano) erano presenti in misura significativa, con una
dicotomia tra il ventre della città, in cui dominavano modelli preindustriali, e le
periferie, dove avevano sede stabilimenti moderni come la Richard-Ginori, su cui
Pellegrino ha condotto uno studio approfondito a partire dai libri matricolari, dai
processi probiviri e dagli atti di fallimento. Il caso fiorentino obbliga quindi a
considerare non una catena unica del processo di reclutamento, magari in
continua evoluzione nel tempo, ma una serie di percorsi, di modelli, di contesti
diversi e rapidamente variabili, sia pure entro alcuni orizzonti condivisi.
Franco Franceschi (Università di Siena) ha quindi commentato le due relazioni
della sessione sottolineando la ricchezza delle fonti potenzialmente utilizzabili per
approfondire tali temi; di particolare interesse riflettere sul carattere non sempre
formalizzato dell'apprendistato e sulla sua natura come fenomeno non solamente
economico ma anche sociale e relazionale: oltre alla qualifica, contano i capitali
sociali e finanziari. Entrambi si ottengono tramite l'arricchimento dei propri contatti.
Come temi da approfondire, Franceschi ha segnalato la salarizzazione
dell'apprendistato e l'apprendistato presso i lavoratori salariati (come ad esempio
usava tra i Ciompi); l'esistenza di molteplicità di qualifiche, e quindi la non linearità
dei percorsi di apprendistato; la sofferenza dell'apprendista.
La seconda sessione, dal titolo "Mobilità territoriali", intendeva concentrarsi su un
fattore imprescindibile nel trattare il tema dell'ingresso al lavoro, come già aveva
sottolineato Jan Lucassen nel saggio pionieristico In Search of Work (2000).
Eleonora Canepari (University of Oxford), nella relazione I mestieri della mobilità.
Migrazioni e accesso al lavoro nella Roma moderna, ha presentato i primi risultati
di una ricerca in corso sulla mobilità professionale nella Roma moderna,
analizzando le relazioni tra mobilità e accesso al lavoro in una città fortemente
caratterizzata da continui flussi migratori. Adottando un approccio microanalitico e
biografico, Canepari ha presentato alcune dinamiche di inserzione e reinserzione
nel mercato del lavoro di quella manodopera dequalificata che è stata spesso
classificata come marginale (le persone senza mestiere, ovvero esterne alle
corporazioni) e che, a Roma, trovava impiego nei settori più diversi dell’economia
urbana. Attraverso l’esame di circa 150 percorsi professionali mobili, che
corrispondono ad altrettante testimonianze di candidati all’ammissione
all’Ospedale dei poveri di San Sisto, è stata proposta una riflessione su possibili
modelli di mobilità professionale, tra località di partenza e città di arrivo, ma anche
all’interno della stessa città di Roma.
L'intervento di Paolo Barcella (Università di Bergamo), dal titolo Gli italiani in
Svizzera tra lavoro e formazione professionale, ha illustrato lo spazio accordato
dagli accordi bilaterali tra l’Italia e la Svizzera del 1948 alla questione dei
reclutamenti della manodopera italiana, come sintesi tra gli interessi divergenti dei
due paesi e delle rispettive classi imprenditoriali. Attraverso strategie di
reclutamento informali e, dal punto di vista italiano, irregolari, le imprese elvetiche
riuscirono spesso a reclutare la manodopera desiderata, già occupata in Italia e
quindi dotata di alcune conoscenze circa la vita di fabbrica, i suoi tempi, le sue
gerarchie e i suoi macchinari. Si trattava comunque in genere di lavoratori con un
basso grado di scolarizzazione, che non avevano frequentato corsi o scuole
professionali: anche per questo, nonostante fossero i più qualificati nel panorama
italiano, in Svizzera venivano massicciamente impiegati come manovalanza
generica nei diversi settori.
Stefano Musso (Università di Torino) ha commentato le due relazioni della
sessione facendo notare come se in età moderna era in gioco l'impersonalità dei
canali di reclutamento e formazione, in età contemporanea è invece in gioco la
personalizzazione di tali fenomeni. Emergono dunque alcune domande decisive
che la discussione tra studiosi di epoche distanti può aiutare a soddisfare: come
fissare il confine tra formale e informale? Qual è il ruolo delle normative, delle
istituzioni, del riconoscimenti pubblico, della conoscenza personale in questa
distinzione? Infine, una riflessione sulla presunta centralità del fattore 'abilità' nel
mestiere: non si dovrebbe considerare lo skilled worker come una persona che
vanta una professionalità sociale complessa, ben oltre la sola abilità manuale
tecnico-pratica? Si è aperta quindi una ricca discussione che ha visto i relatori
discutere con il pubblico; si segnalano in particolare gli interventi di Laura Savelli,
Manfredi Alberti, Sandro Ruju, Catia Sonetti, Michele Nani.
Nelle conclusioni Pietro Causarano (Università di Firenze) sottolinea l’interesse di
un confronto tra storici di diverse epoche su alcune concettualizzazioni legate al
lavoro, come precarietà, flessibilità, regolarità, mobilità, informalità. Ritiene
importante allargare il ragionamento al tema della formazione scolastica e
professionale dalla fine dell’Ottocento in poi, portando ad esempio il caso degli
impiegati comunali dopo l’Unità, lavoratori allo stesso tempo scolarizzati e precari.
Se la formazione svolge una funzione di distinzione sociale (oltre che strumentale)
già in età moderna, la sua istituzionalizzazione esplode però con l’avvento della
produzione industriale, quando declinano le forme di apprendimento on the job,
interne ai luoghi di lavoro.