Di Simonetta dirò qualcosa…

Di Simonetta dirò qualcosa solo intorno alla biografia intellettuale e solo per il lungo periodo in cui le fui vicino, prima come compagno di università, dal novembre del 1963, poi come compagno di vita, dal febbraio del 1965 fino alla sua scomparsa il 24 ottobre del 1999. Ma vorrei un istante ricordare come fosse nata (a Roma, nel giugno del 1944) da genitori di condizioni modeste che con grande impegno vollero gli studi superiori per tutti e tre i loro figli: Giancarlo, Simonetta e Daniela. Per quanto io detesti l’argomento ad personam nelle biografie intellettuali, non posso fare a meno di attribuire anche all’ascendenza familiare di Simonetta il suo continuo interesse per le classi sociali non agiate. Ricorderò anche come Simonetta sia stata una esemplare studentessa delle scuole e del liceo, che frequentò a Roma, e come sia stata incoraggiata dai suoi insegnanti a tentare il concorso per l’ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, che vinse nel 1963. Incline agli studi di filologia e di filosofia, ma “dirottata” sugli studi di storia per un suggerimento di Delio Cantimori (aveva avuto a Firenze un colloquio nella casa di Cantimori e della moglie Emma Mezzomonti, a lei indirizzata da Eletta Innocenzi, amata insegnante degli anni romani e amica della Mezzomonti), intraprese i primi studi a Pisa sotto la guida di Guido Quazza, di Armando Saitta e di Mario Mirri. In un primo tempo furono studi di ambito ottocentesco, ma molto presto  Simonetta si avventurò in ricerche sul socialismo della Seconda e della Terza Internazionale e preparò una tesi di laurea sui primi anni del Partito Comunista d’Italia. Devo ricordare che a quel tempo (metà degli anni Sessanta) lo studio della storia contemporanea stentava ancora a trovare la sua collocazione accademica, e comunque non era frequentemente suggerito dai professori agli allievi. La scelta di Simonetta, come quella di nostri amici di quegli anni, tra i quali ricordo in particolare Adriano Sofri e Rosa Alcara, fu una scelta autonoma, suggerita da una passione politica e da un interesse molto forte per l’ideologia. In questo senso andarono le prime ricerche di Simonetta approdate a pubblicazione, incentrate sulle figure di Lenin, di Radek, degli “estremisti” con cui Lenin polemizzò (Pannekoek e Gorter), di Amadeo Bordiga e di Antonio Gramsci. In questi primi lavori Simonetta applicò la sua grande attenzione filologica, anche per puntualizzare attribuzioni di articoli dell’“Ordine Nuovo”, e il suo impegno ad ancorare il dibattito teorico alle concrete fisionomie personali degli operai di fabbrica e ai concreti meccanismi del lavoro di fabbrica e dei sistemi di remunerazione del lavoro. Questa attenzione si materializzò in una serie imponente di schede, fotocopie, appunti diversi che non trovarono se non in piccola misura traduzione nella pagina a stampa, come non vi trovò esito la tesi di laurea. Ho percorso più volte queste carte, che conservo nella mia casa, riflettendo sulla possibilità di un loro utilizzo per il pubblico degli studiosi, ma devo dire che l’impresa mi sembra molto difficile, anche tenendo conto del molto che è stato prodotto, in termini sia di edizioni di fonti sia di letteratura storiografica, su questi temi che da gran tempo non sono più materia riservata a giovani audaci e politicamente appassionati. Una importante realizzazione a stampa si ebbe comunque con il libro Il prezzo del lavoro. Torino e l'industria italiana nel primo ’900, edito nel 1988 con una presentazione di David Montgomery e del quale ha parlato ampiamente soprattutto Giancarlo Falco, comune amico degli anni universitari e di sempre.

     L’evoluzione successiva dell’operosità intellettuale di Simonetta avrebbe visto una attenzione sempre più marcata verso il lungo periodo, risalendo cioè all’epoca della produzione artigianale  e manifatturiera nella prima età moderna e della progressiva egemonia esercitata su artigiani e lavoranti dai ceti mercantili prima, della grande industria poi. L’ottica fu sempre quella della disciplina del lavoro, l’analisi serrata condotta da Simonetta attraverso quelle varie fasi approdò a una disamina molto lucida dei passaggi che avevano segnato la progressiva perdità di libertà delle classi lavoratrici: è il senso del titolo Libertà e servitù. Il mondo del lavoro dall'ancien régime alla fabbrica capitalistica, che Simonetta diede al suo secondo libro, apparso nel 1995. Nei sei anni intercorsi tra il primo e il secondo libro si erano sdipanate nuove esperienze di lavoro e di impegno intellettuale di Simonetta: l’insegnamento universitario (nel ruolo dei professori associati dal 1992, in precedenza il lungo insegnamento nelle scuole di diverso ordine, alcuni “comandi” presso istituti di ricerca sul movimento di Liberazione, a Torino e a Roma, alcuni insegnamenti a contratto presso l’Università di Trieste) e l’attenzione sempre più marcata ad alcune figure importanti nella storia dell’industria capitalistica quali Friedrich Engels e, su un altro versante, Frederick Taylor, del quale Simonetta cercò comunque di cogliere anche il respiro teorico e il profilo umano. L’“umanizzazione” dei protagonisti e degli interpreti del capitalismo industriale, come dei grandi esponenti dei movimenti socialisti, era una caratteristica del lavoro di Simonetta. Le sarebbe piaciuto scrivere sull’atteggiamento di Marx e di Engels di fronte alla Comune di Parigi e sul dilemma che sentirono allora, tra la piena coscienza del tragico inevitabile esito di quell’esperienza e l’importanza che essa venissse comunque condotta nella prospettiva finale della “liberazione dalle catene” del proletariato. Fece però in tempo a scrivere, pur brevemente, della lacerazione anche psicologica dei maggori esponenti della direzione socialista negli anni della Grande Guerra di fronte ai movimenti violenti che fecero seguito all’atroce conflitto.

     Alla Grande Guerra, nei suoi aspetti politici e soprattutto sociali, Simonetta era andata infatti dedicando  una gran parte delle sue energie intellettuali, già ancor prima che uscisse Il prezzo del lavoro, e questo interesse si andò collegando a un altro dei temi di Simonetta, quello della condizione sociale delle donne e del lavoro femminile, indagato su tutta la spanna dell’Otto e del Novecento. Intorno a quest’ultimo tema Simonetta produsse una sintesi nel 1991, in una miscellanea di studi in onore di Denis Mack Smith, e una serie di altri saggi, compreso quello che sarebbe stato pubblicato postumo nel 2003: Italian Women during the Great War.

     Non ho ricordato qui tutti i lavori di mia moglie e, cosa ovvia, non ne ho fornite le referenze bibliografiche precise, che si leggono nella seconda delle due raccolte di saggi edite a Milano da Unicopli. Non ho voluto nemmeno dire nulla di personale su di lei, né sulla vita tra noi due e con i nostri figli Michele e Andrea. Ma, grato alla Società Italiana di Storia del Lavoro che ospita questa pagina e alcuni scritti di Simonetta, approfitto comunque di questo spazio per dire cosa ho ammirato di più in Simonetta: la sua grande libertà di pensiero, che voleva dire un ancoraggio fermo e profondo alla figure intellettuali da lei studiate e amate (tra le queli primeggiarono Adam Smith, Marx e Engels, Lenin) e un dialogo vivo e spregiudicato con esse, e ancora il suo contemperare un grande rispetto per gli altri, un atteggiamento sempre mite e gentile, uniti ad una assoluta mancanza di soggezione ad autorità di qualunque tipo.

 

Paolo Cammarosano, luglio 2013