Dettaglio notizia

CFP Donne scienziate, sviluppo e cittadinanza ambientale (scadenza 15 ottobre 2022)

|   CFP

Il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste organizza per i giorni 20-21 Aprile 2023 a Trieste, un convegno dedicato all’attivismo delle donne nel campo della scienza, dello sviluppo e della giustizia ambientale nel contesto delle organizzazioni transnazionali durante la Guerra Fredda.

Nella seconda metà del Novecento, a partire dalla cosiddetta “Era Atomica”, prese progressivamente piede la consapevolezza da parte degli scienziati dei due opposti blocchi che il dialogo per un uso pacifico dell’energia nucleare avrebbe contribuito a salvare il mondo dal cataclisma atomico. Allo stesso tempo l’attivismo di alcuni/e scienziati e scienziate manifestò una forte critica al modello di sviluppo che aveva caratterizzato gli anni del dopoguerra. L’avvio del World Food Programme della FAO nel 1961 e il famoso studio-denuncia Silent Spring di Rachel Carson nel 1962 aprirono la strada alla comprensione dei legami tra ambientalismo, sviluppo economico e sociale e ruolo della scienza. Emerse quindi progressivamente la necessità di analizzare, e fermare, le conseguenze ambientali e umane che uno sviluppo non sostenibile stava arrecando al pianeta e alle popolazioni più povere.
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, il processo di decolonizzazione portò anche a un più marcato protagonismo dei nuovi paesi nati dal dissolvimento degli imperi coloniali europei. Questo ridefinì anche il concetto di sviluppo, in connessione con il dibattito sui diritti umani e sulla sostenibilità ambientale, che cominciò ad avere una progressiva importanza nell’ambito delle politiche nazionali, delle relazioni internazionali e dell’agenda delle Organizzazioni Internazionali.
Insieme ai temi prettamente economici emersero anche le problematiche legate ai diritti delle donne, che si intersecarono con i dibattiti dei movimenti femministi degli anni Settanta e Ottanta. Come hanno evidenziato Regina Laub e Yianna Lambrou, furono infatti scienziate come Helen Caldicott, Rosalie Bertell, Dorothy Hodgkin e Emma Reh, a denunciare gli effetti nefasti della corsa agli armamenti (in particolare atomici) e a sottolineare l’importanza di mettere in atto politiche di sviluppo efficaci per le aree più arretrate del mondo, e usare criteri differenti per analizzare i problemi globali.
Queste elaborazioni trovarono spazio anche a livello internazionale se si considera l’importanza di documenti come la Declaration on the Elimination of Discrimination Against Women (DEDAW, 1967) poi divenuta Convention (CEDAW) nel 1979. A questo è da aggiungere l’importante presenza di scienziate nell’ambito delle conferenze dell’ONU di Mexico City (1975), Copenhagen (1980), Nairobi (1985) e Beijing (1985), dove sempre più forti emersero i legami tra diritti delle donne, giustizia ambientale e sviluppo sostenibile. A partire dalla fine degli anni Sessanta, come ha analizzato Devaki Jain nel 2005, all’interno del cosiddetto sistema onusiano (che include tutte le agenzie collegate, come WHO, UNDP, UNESCO, FAO e ILO) furono lanciati una serie di studi e campagne che influenzarono e furono influenzate a loro volta dalla presenza di scienziate che attraverso canali non sempre ufficiali e strutturati – reti e associazioni quali Pugwash, Femmes d’Europe, Women in Science e numerose ONG – cercarono di incidere sulle scelte e sulle prospettive globali. Parallelamente, a partire dalla fine degli anni Settanta, in diverse parti del mondo nacquero movimenti di base che coniugavano le rivendicazioni sul rispetto dell’ambiente alle richieste di una maggiore equità sociale e razziale. All’interno di questi, l’attivismo femminile giocò un ruolo fondamentale per la creazione di una rete transnazionale e per la codificazione del concetto di giustizia ambientale sul piano globale.

Il convegno si inserisce all’interno del progetto di ricerca PRIN-2017 “Inventing the Global Environment: Science, Politics, Advocacy and the Environment-Development Nexus in the Cold War and Beyond”.


I temi di discussione e le prospettive che le relazioni dovranno affrontare sono i seguenti:

- Come l’attivismo femminile attraverso associazioni, reti transnazionali o agenzie internazionali (come UNIFEM, TWOWS, INSTRAW) ha influenzato gli orientamenti e gli studi delle grandi organizzazioni internazionali, in particolare l’ONU e agenzie collegate.
- In che modo l’attivismo delle scienziate e delle studiose in generale ha modificato, in particolare nei cosiddetti PVS e del Terzo Mondo ma non solo, la relazione tra sviluppo, giustizia ambientale e diritti umani? Quali sono state le connessioni tra Organizzazioni non governative, attivismo di scienziate come Rachel Carson (per il mondo occidentale) o Wangari Maathai (per i paesi del Terzo Mondo) e creazione di leadership femminili all’interno dei movimenti ambientalisti e per la giustizia ambientale.
- In che modo le categorie di genere, razza e classe possono spiegare le relazioni tra Nord e Sud del mondo rispetto alla questione ambientale?
- In che modo le dimensioni locale e globale hanno contribuito a orientare il dibattito sull’ambiente e quale è stato il contributo delle donne a questa discussione?
- Come l’attivismo femminile è stato recepito nell’elaborazione di policy in materia di tutela dell’ambiente, giustizia ambientale e sviluppo da parte degli Stati dei due opposti blocchi?
- L’impatto dell’attivismo femminile nell’elaborazione ed evoluzione dei concetti e delle pratiche connesse alla giustizia ambientale e allo sviluppo.
- Come le politiche agricole e alimentari di Governi nazionali o Organizzazioni Internazionali hanno modificato lo status delle donne? Sia da un punto di vista culturale, lavorativo e politico.


Le proposte dovranno arrivare a Elisabetta Vezzosi (vezzosi@units.it) e Federico Chiaricati (FEDERICO.CHIARICATI@units.it) entro il 15 ottobre. Con un abstract di massimo 500 parole corredato da un CV di una pagina dell’autore o dell’autrice.
La selezione verrà resa nota entro il 10 novembre.

Indietro