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«Il lavoro che non c’è e il rock’n’roll che avanza». Trentacinque anni di Concerto del Primo Maggio

Brenda Fedi

 

Dicembre 2025

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Il passaggio tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento, segnato dal crollo del Muro di Berlino e dal successivo scioglimento del Pci, rappresenta una cesura storica e una svolta decisiva nella storia nazionale. Questi mutamenti incidono profondamente sull’associazionismo politico e sui sindacati, chiamati a riorientarsi in un panorama ideologico attraversato da una profonda crisi. In questo scenario, mentre la Cgil affronta le difficoltà legate alla ricerca di una rinnovata autonomia di elaborazione politica e culturale, anche la tradizionale Festa dei Lavoratori va incontro ad una significativa e interessante riformulazione. Nel 1990, infatti, in occasione del centenario della ricorrenza si svolge in piazza San Giovanni a Roma la prima edizione del Concerto del Primo Maggio. 

Da quella prima edizione prende corpo un evento gratuito, riproposto di anno in anno da Cgil, Cisl e Uil, il quale persegue una duplice finalità: da un lato riunire musica e impegno sociale, avvicinando le nuove generazioni ad un sindacato che rischiava di apparire oramai distante e ingessato, sfruttando sia la partecipazione di musicisti affermati sia di artisti emergenti o indipendenti; dall’altro lato lato, rinsaldare il rapporto con i lavoratori e le lavoratrici del settore musicale, categoria alla quale la Cgil si stava interessando da alcuni anni. Mentre a Milano si svolge la celebrazione tradizionale, con l’inedita presenza del presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a Roma debutta il primo “concertone” (così definito a livello giornalistico). Fin dal 1990, la manifestazione musicale viene trasmessa in diretta Rai, rivelandosi un successo oltre che di pubblico in piazza, anche di audience e ponendo così le basi per la crescente influenza mediatica nella costruzione di un evento via via sempre più impregnato di sonorità mainstream.

Il Concerto del Primo Maggio, pur rispecchiando la lunga tradizione musicale che accompagna le celebrazioni della Festa dei Lavoratori a livello globale, segna al contempo un’evoluzione nel modo in cui i sindacati si avvicinano alla popular music. Se, infatti, in passato le camere del lavoro avevano spesso organizzato eventi musicali a livello locale, a partire dal 1990 il concertone assume una dimensione prima nazionale e poi, grazie alla partecipazione di artisti provenienti da tutto il mondo, persino internazionale. 

Nel corso del suo primo decennio di vita, il concertone diventa un vero e proprio prisma della cultura musicale della sinistra italiana: raccoglie e riflette le diverse forme di espressione musicale che si collocano all’interno del mondo progressista dalle aree più radicali a quelle più istituzionalizzate. L’evento, realizzato attraverso il sostegno organizzativo della società Network di Riccardo Mario Corato, rappresenta in questa fase un palco reale (e simbolico) che garantisce visibilità a musicisti emergenti con i retroterra più disparati: dalla sezione giovani di Sanremo (Carmen Consoli, Daniele Silvestri, Alex Britti), alla scena pop-rock contemporanea (Vasco Rossi, Gianna Nannini, Jovanotti), passando dalle etichette discografiche indipendenti (Prozac+, Üstmamò, Afterhours) fino ad arrivare ai centri sociali (99 Posse, Mau Mau, Almamegretta).

In questa prospettiva, la politica, i media e gli stessi sindacati tendono a rappresentare il concerto del Primo Maggio come un momento di unità culturale: un evento capace di tenere insieme, da un lato, le tre differenti confederazioni; e dall’altro, le diverse anime della sinistra italiana. Complici anche le esperienze professionali messe in campo dal produttore Corato (organizzatore tra, gli altri, del controverso concerto dei Pink Floyd a Venezia del 1989), il modello a cui il concertone si ispira è quello del Live Aid del 1985: il grande evento musicale di raccolta fondi contro la carestia in Etiopia che, dalla metà degli anni Ottanta, è diventato il punto di riferimento per tutte le manifestazioni musicali “impegnate”. Tuttavia, questo modello pur configurandosi storicamente come una aperta sfida nei confronti del governo neoliberista Thatcheriano, viene percepito dalla sinistra più radicale come basato essenzialmente su una performance politico-musicale che tende a pacificare simbolicamente ogni forma di conflitto interno per convergere su una causa comune. Dunque, in quest’ottica, si adatta solo in parte al Primo Maggio italiano. La Festa del Lavoro risulta, infatti, intimamente legata ad un tema strutturalmente conflittuale nella storia dell’Italia repubblicana: il lavoro, con le sue tensioni, disuguaglianze e rivendicazioni, difficilmente riesce ad essere rappresentato in termini di armonia e unità.

Fino all’inizio del nuovo Millennio, la manifestazione musicale è infatti segnata da frequenti contestazioni e tensioni interne, originate tanto dal pubblico – che spesso espone cartelli e striscioni per sollecitare interventi sindacali contro la crescente e drammatica disoccupazione giovanile – quanto, soprattutto, da alcuni musicisti. Numerosi artisti provenienti da circuiti culturali indipendenti e, talvolta, critici nei confronti delle politiche confederali, scelgono infatti di partecipare all’iniziativa in una prospettiva apertamente conflittuale al fine di sfruttare il palco del concertone per portare contenuti musicali radicalmente politicizzati. Tra gli episodi più emblematici, si ricordano i Gang che, nel 1991, eseguono il brano “Socialdemocrazia”, un inno allo sciopero generale in polemica con le recenti scelte sindacali; oppure, l’iconico featuring del 1998 tra la Nuova Compagnia di Canto Popolare e i 99 Posse, i quali affermano che in occasione della Festa del Lavoro non vi sia nulla da celebrare data la gravità della disoccupazione: «la precarietà è il futuro».

Durante l’ottava edizione del 1997 emerge inoltre con particolare chiarezza il tentativo dei sindacati di intervenire in modo concreto attraverso lo spazio simbolico del concertone. In collaborazione con la Network, i confederali promuovono il progetto Stage on Stage, pensato per offrire ai giovani un’opportunità formativa nel settore musicale: un gruppo di selezionati avrebbe partecipato all’organizzazione dell’edizione successiva, valorizzando il lavoro “invisibile” del backstage — fonici, macchinisti, operatori video — figure precarie ma fondamentali per la produzione dei grandi eventi. L’iniziativa, tuttavia, rimarrà episodica e non troverà continuità. Nonostante ciò, l’operazione rappresentava per la Cgil un passo avanti rispetto all’uso del concerto come semplice gesto simbolico di solidarietà verso un mondo giovanile segnato da disoccupazione e precarietà. Si trattava del tentativo di intrecciare il linguaggio musicale con una riflessione più ampia sul lavoro e sulle sue trasformazioni, in linea con l’attenzione che la Cgil dedicava fin dagli anni Ottanta al settore del lavoro creativo.

Alla fine del secolo si concentrano alcune dinamiche particolarmente significative che funzionano da spie della crisi del “modello concertone” nel passaggio agli anni Duemila. L’edizione del 1999, dedicata ai rifugiati del conflitto in Kosovo, si colloca nel contesto dei dibattiti politici in merito alle guerre jugoslave e delle controverse operazioni NATO sostenute dal governo D’Alema. La Cgil, pur appellandosi alla pace, si mostra internamente divisa sull’intervento militare. In questo quadro, l’evento assume un forte valore simbolico di solidarietà verso i profughi, proponendo interventi musicali di impronta pacifista (tra i protagonisti più significativi Goran Bregović e Vasco Rossi) e registrando una partecipazione record. Tuttavia, le tensioni politiche e sindacali favoriscono l’organizzazione di concerti alternativi e antagonisti da parte dalle camere del lavoro di Bologna e di Reggio Emilia che arrivano a vantare la partecipazione di celebri musicisti.

Nel 2000 il Primo Maggio assume la sua conformazione più atipica, sovrapponendosi al Giubileo dei Lavoratori promosso dalla Chiesa. Il concertone, dalla tradizionale piazza San Giovanni, viene trasferito a Tor Vergata e articolato in due momenti: un omaggio a Giovanni Paolo II e poi il consueto appuntamento rock. Questa sovrapposizione, percepita come inaccettabile da parte della sinistra più radicale, acuisce le tensioni già presenti e spinge movimenti e persino alcune camere del lavoro a riproporre, come l’anno precedente, iniziative musicali contrapposte. Dunque, non si sceglie più di partecipare all’evento in ottica conflittuale ma, piuttosto, si propone un’alternativa. Questa dinamica raggiungerà poi un apice nel 2013, anno a partire dal quale si consoliderà il noto e partecipatissimo controconcerto pugliese Uno maggio Taranto libero e pensante.

Dopo il 2001, anno che segna la conclusione della collaborazione tra lo storico produttore Riccardo Corato e i sindacati, il concertone attraversa una fase di minore conflittualità rispetto al decennio precedente. Tale processo di depotenziamento politico può essere in parte ricondotto ad una perdita di quella spinta propulsiva che aveva animato i movimenti – e i musicisti ad essi vicini – nel corso degli anni Novanta. Si tratta di una fase di ricomposizione all’indomani della dura repressione di Stato durante il G8 di Genova del luglio 2001 e in seguito alla oceanica, sebbene politicamente inefficace, mobilitazione contro la guerra in Iraq del 2003. Questo ha influito non tanto sulla qualità della musica proposta (che rispecchia le tendenze musicali del paese) quanto piuttosto sull’assenza di artisti connotati da un’esplicita carica politica, i quali partecipano piuttosto alle iniziative antagoniste.

Negli ultimi tempi, tuttavia, il palco del concertone sembra essere tornato terreno di interessanti polemiche. Un esempio emblematico è rappresentato dalla presunta censura Rai denunciata da Fedez nell’edizione 2021: il rapper-influencer contestava la richiesta di presentare in anticipo il testo del suo intervento, incentrato sul sostegno al DDL Zan allora in discussione, e denunciava dal palco di aver ricevuto pressioni per eliminare alcuni riferimenti a figure politiche note. Al di là del caso specifico, sebbene la richiesta di visionare preventivamente i testi degli interventi rimanga discutibile, quello dell’invocazione di una presunta censura non è certo un fenomeno nuovo. Fin dalla prima edizione, infatti, le accuse di silenziare gli artisti più schierati tornano ciclicamente (si veda il “caso” Elio e le Storie Tese nel 1991 o, ancora, l’intramontabile performance di Ascanio Celestini del 2011). Nonostante ciò, il concertone ha sempre continuato a rappresentare uno spazio in cui molti musicisti sono stati, di fatto, liberi di esprimere posizioni conflittuali, mantenendo vivo lo spirito originario dell’evento.

Si pensi poi alle polemiche sorte attorno all’edizione 2023 e incentrate sulle sponsorizzazioni del concertone da parte di aziende del food delivery, note per le forme di ipersfruttamento e per l’assenza di tutele legali cui sono sottoposti lavoratori e lavoratrici delle piattaforme. Analoga contestazione, questa volta di matrice ambientalista, ha riguardato la presenza di Eni tra gli sponsor, accusata dai movimenti ecologisti di pratiche di greenwashing. Ai sindacati — talvolta attribuendo loro un ruolo probabilmente sovrastimato nel processo di reclutamento degli sponsor — viene imputata una profonda incoerenza: accettare il sostegno economico da parte di aziende che contribuiscono allo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente.

Nell’edizione del Primo Maggio 2025, quando in Italia le mobilitazioni a sostegno della Palestina e contro il genocidio compiuto da Israele non avevano ancora riempito le piazze come sarebbe avvenuto pochi mesi dopo, i Patagarri intonano dal palco del concertone lo slogan “Free Palestine/Palestina Libera” sulle note del canto popolare ebraico Hava Nagila. Una scelta che ha inevitabilmente sollevato polemiche (sia rispetto alla performance ritenuta eccessivamente politica, sia a causa del controverso accostamento) ma che non ha impedito ad un’ampia parte del pubblico di unirsi al coro, segno della forte solidarietà verso la causa palestinese presente tra i e le partecipanti.

In realtà, il tema connota il dibattito sindacale già dall’inizio del 2024. La Cgil sostiene infatti il popolo palestinese pur attraversando una lunga discussione interna in merito al riconoscimento del carattere genocidiario degli eventi a Gaza. Più immediata è la presa di posizione del sindacalismo di base che convoglierà nel partecipato sciopero del 22 settembre 2025 indetto da Usb, al quale la Cgil dedice di non aderire. Sull’onda della vicenda della Global Sumud Flotilla, si avrà invece una convergenza sulla data del 3 ottobre con uno sciopero generale proclamato da SiCobas e al quale aderiscono sia Usb sia Cgil.

In questo contesto che sembra caratterizzarsi per una diffusa ripoliticizzazione, è legittimo chiedersi se il Concerto del Primo Maggio possa ancora assolvere al suo compito originario: rappresentare simbolicamente un momento di unità tra Cgil, Cisl e Uil, le cui posizioni politiche appaiono oggi sempre più inconciliabili. Basti pensare alla netta opposizione espressa dalla Cisl nei confronti dei referendum su lavoro e cittadinanza promossi dalla Cgil nel giugno 2025. Di fronte a questa profonda divaricazione, resta da verificare se il concertone sarà in grado di resistere alle tensioni in campo tra i tre sindacati confederali. Inoltre, in questa prospettiva, un eventuale indebolimento del concerto romano potrebbe accentuare la contrapposizione con l’evento di Taranto, contribuendo a trasformare quest’ultimo in un’iniziativa pienamente concorrenziale.

Allo stesso tempo, episodi come quello del Primo Maggio 2025 sembrano suggerire come il palco del concertone possa ancora rappresentare un luogo capace di dare voce a forme rinnovate di partecipazione politica dal basso. La domanda che segna le riflessioni sul futuro risulta allora essere: questo evento può tornare ad essere uno spazio simbolico di confronto – anche conflittuale, ma produttivo – tra la Cgil, i movimenti sociali e il sindacalismo di base? In altre parole, nel nuovo scenario che si va delineando, sarà ancora possibile immaginare il concertone come un momento di dialogo e di espressione musicale collettiva, oppure il suo modello ha oramai esaurito la propria forza propulsiva?

 

Bibliografia:

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