Tra i grandi assenti dalla memoria pubblica e dal discorso a sfondo storico che anima le discussioni politico-culturali vi è la storia del lavoro, intesa secondo la declinazione anglosassone di Labour History (o Labor, nella variante americana), una storia che tiene insieme tanto i processi produttivi che le organizzazioni dei lavoratori e delle lavoratrici e la cultura espressa da queste classi. Dopo la fase di grande risalto degli anni Settanta, la presenza pubblica della storia del lavoro è entrata in un lungo appannamento che prosegue a tutt’oggi, nonostante la storiografia lavorista italiana abbia continuato a produrre opere di grande valore. Specchio di questa situazione è il 1° maggio, giornata non memoriale ma che tuttavia, con i suoi più di 130 anni, è diventata un appuntamento che sollecita i public historian ma che resta fuori dalle discussioni, spesso accese, sul calendario civile che si svolgono ogni anno. Un'altra conferma arriva dai numerosi musei dedicati al lavoro industriale o rurale sorti in Italia nel corso dei decenni, anche selvaggiamente, che tuttavia pongono l’accento o sui dati scientifico-tecnologici o sugli aspetti inerenti la cultura popolare e le tradizioni locali. Tuttavia, a questa assenza corrisponde per un altro verso il permanere del carattere controverso della storia e della memoria del lavoro. Anche se non da vita a movimenti conflittuali come in altri casi più noti (fascismo, colonialismo, comunismo ecc…), come si racconta la storia del lavoro continua ad essere un aspetto non neutrale, contrastato, passibile di immediate ricadute politiche, e da vita a costruzioni discorsive, retoriche e memorialistiche, da misurare di fronte alla storia.
Il Panel affronterà questi aspetti con tre relazioni, che affronteranno le trasformazioni della memoria e degli apparati retorici, la rimozione dalla rappresentazione pubblica e la possibilità di contrastare questi fenomeni attraverso attività di Labour Public History.