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Media 25 - febbraio 2021

Cecilia Mangini e “lo sguardo che cattura la verità”

 

“In forza di questo corso accelerato di condivisione, saremo tutti promossi yesmen e yeswomen al cento per cento e senza accorgercene condivideremo tutto, appiattiti sul Kadavergehorsam di cui CONDIVIDI è il cavalier servente”.

Con queste parole Cecilia Mangini, la prima donna documentarista italiana, parlava della società e dell’informazione da social, dove pochi sono gli esempi morali per i più giovani e dove il condividere non è più un atto di cultura, ma un gesto eterodiretto.

    Cecilia, cresciuta tra Firenze e Bari, gode della libertà garantita dai lunghi soggiorni presso la casa dei nonni paterni nelle campagne pugliesi, in un contesto familiare non allineato al regime fascista, ma anzi più legato al socialismo riformista. Grazie a questa libertà intellettuale, nonostante il soggiorno in un collegio svizzero negli anni della ricostruzione, si interessa fin da giovane di fotografia e cinema, fino al trasferimento a Roma dove inizia a lavorare come fotografa. Il suo lavoro avviene soprattutto nelle strade, lontano dalle pose da copertina, dove, come sottolineato da Francesca Pierleoni

    "l'umanità vive, si dibatte, si diverte, soffre. Tutto questo è a disposizione di chiunque abbia una macchina con un obiettivo”. 

      Dagli anni ’60, grazie anche al produttore Fulvio Lucisano, si dedica al cinema documentario, diventando la prima donna a cimentarsi nel settore. In merito, Mangini ha recentemente osservato:

      “io sono una documentarista. Chi fa documentari è assai più libero del regista di film di finzione, ed è per questo, per la mia indole libertaria con cui convivo fin da bambina, che ho voluto essere una documentarista. Il documentario è il modo più libero di fare cinema e non solo dal punto di vista produttivo perché resta un genere povero: mantiene una permeabilità alle sorprese della realtà che la finzione non si può permettere proprio perché vincolata al denaro".

      Il documentario è, secondo Cecilia, “lo sguardo che cattura la verità”.

      Cecilia si dedica subito, col marito, a dirigere documentari che descrivono le periferie cittadine e la vita del sottoproletariato urbano (in collaborazione anche con Pier Paolo Pasolini, come nel caso del cortometraggio Ignoti alla città del 1958). Dalla collaborazione con lo scrittore nasce anche La canta delle marane nel 1962, dove si racconta l’estate dei ragazzini della periferia della Capitale, incompresi dal mondo degli adulti. 


      Sulla vita quotidiana degli artigiani fiorentini, tra botteghe e osterie, che ancora resistevano al nuovo mondo portato dalla crescita economica, viene girato il corto Firenze di Pratolini, con i testi di Vasco Pratolini, nel 1959. 
      Non manca lo sguardo al Mezzogiorno, terra natia di Cecilia. Tra i vari corti, nei quali si ritraeva la vita ancora tradizionale di alcune aree, spicca Maria e i giorni (1960), nel quale si parla della vita di Maria, conduttrice di una masseria nel barese, della sua quotidianità e dei gesti familiari. In tutto questo spicca il lavoro di Maria, vero orologio e calendario della sua esistenza, passata a zappare i campi, un gesto che ben presto sarebbe stato destinato a cadere in disuso.


      Negli anni ’60 Cecilia, si concentra sull’Italia che si sviluppa e cambia, e lo fa guardando al genere che più di tutti soffriva la lentezza del cambiamento culturale: le donne. Nel mediometraggio Essere Donne (1964) Cecilia si occupa della condizione delle donne, dalle dive alle lavoratrici, alle operaie, alle braccianti. L’Interesse di Mangini per il mondo del lavoro non era nuovo: già nel 1952, in vacanza a Lipari e Panarea, aveva fotografato e ritratto le condizioni di vita e lavoro sull’isola. Nel mediometraggio, tuttavia, approfondisce i temi del lavoro con uno sguardo alla rappresentanza del lavoro femminile nei sindacati e alle lotte per un salario equo, oltre al supporto all’occupazione delle madri con la richiesta di istituzione di asili comunali. 

        A questo, seguono cortometraggi girati nelle aree pugliesi, che vanno ad analizzare il desiderio di lavoro dei giovani (Tommaso, del 1967), oltre alla normalizzazione delle classi bracciantili, obbligate a migrare dai campi verso le grandi industrie cittadine, come la Monteshell di Brindisi (Brindisi ’65 del 1966). All’Italsider di Taranto, invece, veniva girato Comizi d’Amore ’80, prodotto dalla Rai, nel quale Mangini indagava l’amore e la sessualità degli operai, in protesta ai cancelli dell’azienda.

         

           

           


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