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Il diritto del lavoro: dai cambiamenti d'epoca all'articolo 18

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È recentemente mancato il giuslavorista bolognese Umberto Romagnoli, uno dei maestri del diritto del lavoro. Il professor Romagnoli aveva insegnato presso il Dipartimento di Scienze politiche dell'ateneo bolognese fino all'AA 2008/09, e aveva poi continuato a dialogare sulla situazione del lavoro in Italia, approfondendo i temi della cultura giuridica del lavoro.

Per la SISLav, Umberto Romagnoli ha firmato ben tre pezzi per la nostra rubrica Al Presente, nel 2017.

Li riproponiamo ora, per ricordare il suo grande contributo allo sviluppo del Diritto del lavoro.

Marzo 2017: Passaggi d'epoca 

Nell’arco di un secolo, o giù di lì, il sistema produttivo ha sprigionato coercizioni di segno opposto – uniformante l’una, deflagrante l’altra – che hanno gettato un’infinità di uomini e donne nella condizione di aggirarsi con mappe invecchiate in un mondo divenuto improvvisamente ostile. La prima si dispiegò in vigenza delle codificazioni dell’800; la seconda, che ha cominciato a manifestarsi nella lunga fine-secolo che abbiamo appena vissuto, non ha ancora raggiunto il suo esito conclusivo. Entrambe trasgressive, sono entrambe vincenti. «Non ci sono condizioni alle quali l’uomo non possa assuefarsi – si legge in una pagina di Lev Tolstoj –, specialmente se vede che tutti coloro che lo circondano vivono nello stesso modo».

Per questo è realistico presagire che anche l’attuale fase di transizione finisca per concludersi come si concluse quella precedente, al termine della quale l’organizzazione dell’intera società si rispecchiò nel modello dell’organizzazione produttiva dominante. D’altronde, posto che nella prima modernità la società si riorganizzò mediante la giuridificazione di regole del lavoro ispirate al principio di razionalità materiale incorporato nelle strutture della grande produzione di serie, perché la società post-industriale non dovrebbe adeguarsi ad un diverso modo di produrre e di lavorare? La domanda non è soltanto retorica. Il fatto è che la storia non si può esorcizzare. Continua...

 

Maggio 2017: L'articolo 18: storia breve di una morte annunciata 

Pur essendo corretto sostenere che il passaggio alla società post-industriale ha avviato il declino dell’aspettativa della stabilità del posto di lavoro che proprio l’industrialismo aveva suscitato, sarebbe sbagliato sottostimare che l’immaginario collettivo aveva subito riconosciuto nell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori il paradigma concettuale dello stesso diritto che dal lavoro ha preso il nome. È questa la ragione per cui non mi considero dotato di particolare capacità divinatoria per aver consegnato agli Atti del XVI congresso nazionale della Cgil (2010) il presagio che non si sarebbe potuto espellere dall’ordinamento giuridico la norma-simbolo dello Statuto dei lavoratori «se non di nascosto e quasi senza dirlo. Come si è visto all’epoca di Sergio Cofferati, la norma conserva un pathos sufficiente per trascinare le folle nelle piazze in caso di sfacciata aggressione. Quindi, bisognerà ricorrere ad accorgimenti». Continua...

 

Agosto 2017: Diritto del lavoro: un genitivo metaforico 

Un giorno, Gino Giugni mi confidò che trovava divertente suddividere i giuristi in tre categorie. Chiamava “ripetitori” quelli che masticano idee altrui e “amplificatori” quelli che hanno l’inclinazione ad andare sopra le righe. Accanto a loro, ci sono i “riduttori”. I quali, se condividono con gli “amplificatori” il rischio di esagerare, si fanno perdonare perché hanno almeno l’intenzione di tendere all’essenzialità e badare al sodo. Secondo Giugni, io rientravo in questa categoria. Può darsi che non si sbagliasse. Però, ce ne ho messo di tempo per scoprire ciò che avevo sotto il naso.

Solo di recente, infatti, sono giunto alla conclusione che diritto “del” lavoro è un accostamento di parole meritevole di attenzione da parte dei semiologi. In effetti, somiglia al giochetto di prestigio comunicativo praticato dai primi esploratori vichinghi che, per attirare coloni in un luogo inospitale come la Groenlandia, lo chiamarono Terra verde. Anche l’espressione che nelle Facoltà giuridiche designa uno dei corsi rientranti nel piano di studi per arrivare alla laurea ha la proprietà di ingrossare la categoria degli “amplificatori”, perché persino molti professori di diritto del lavoro la scambiano emotivamente per la sintesi conclusiva di una epopea sociale: uscito da una condizione d’insignificanza culturale che si sommava all’ininfluenza politica, il lavoro dispone finalmente di un suo diritto; un diritto che è “suo”perché da lui prende tanto il nome quanto le ragioni. Continua...